Pensieri ed Idee2023-03-08T11:30:33+01:00

PENSIERI ED IDEE…
IL NOSTRO BLOG

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La condivisone delle esperienze, il confronto nelle comunità di pratiche e la contaminazione dei saperi sostengono la promozione di nuove idee e lo sviluppo del pensiero, per questo dedichiamo questa sezione del sito alla diffusione di suggestioni, articoli, interventi e pareri.

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La redazione di Sinergie valuterà la pubblicazione del materiale inviato in coerenza con la propria mission e valori.

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16Marzo 2020

23Dicembre 2019

BUON NATALE E FELICE ANNO NUOVO

 

 

 

 

21Marzo 2019

Resilienza: rialzarsi, più forti di prima

La resilienza è la capacità di autoripararsi dopo un danno, di far fronte, resistere, ma anche costruire e riuscire a riorganizzare positivamente la propria vita nonostante situazioni difficili che fanno pensare a un esito negativo.

ciò che non lo uccide, lo rende più forte.

(Friedrich Nietzsche)

Resilienza nella storia

Fin dalle epoche più remote, gli esseri umani si sono distinti per la capacità di sopravvivere a disastri naturali, guerre, e a ogni sorta di carestia o malattia. Ciò è stato possibile perchè l’uomo è “programmato” per resistere alle sventure, superarle, e convivere quotidianamente con lo stress, al punto che si potrebbe dire che l’abilità di combattere e rialzarsi  più forti di prima (piuttosto che la fragilità) è la regola nel mondo umano.

La necessità di combattere ha la sua ragion d’essere nell’inevitabilità delle sconfitte, delle delusioni e dei conflitti quotidiani, fino a quegli sconvolgimenti esistenziali, come una violenza o la perdita di una persona cara, che, spezzando un equilibrio preesistente, pongono colui che li ha subiti di fronte a una serie di interrogativi: Perché proprio a me? Che senso ha quanto mi è accaduto?

Domande da cui non è possibile sfuggire: solo cercando una risposta chiarificatrice, un senso, seppur a volte mai definitivamente compiuto, è possibile infatti ridefinire la propria sofferenza, che, al di là del dolore gratuito, può essere vista come un valore aggiunto, e fonte di maggiore sensibilità verso le bellezze dell’esistenza, nonchè per le sofferenze altrui.

Se è vero che certe ferite non si rimargineranno mai completamente, qualunque trauma, se non vissuto passivamente come punizione o negazione della felicità, può rappresentare, nel suo accadere repentino e imprevedibile, un’occasione di realizzazione superiore, al pari della condizione del cigno che si è sviluppato a partire dal brutto anatroccolo della nota favola di Andersen (Cyrulnik, 2002).

Le difficoltà quindi come opportunità, come sfida, che mobilita le proprie risorse, sia interne che esterne, una sfida dalla quale non ci si può esimere, in nome del raggiungimento di un equilibrio più funzionale.

Affrontare le inevitabili calamità della vita mette in moto un’abilità nota come resilienza, termine ripreso dall’ambito ingegneristico per indicare la capacità di un materiale di resistere a un urto improvviso senza spezzarsi (De Filippo, 2007). La sua azione può essere paragonata a quella del nostro sistema immunitario chiamato a proteggerci dalle aggressioni esterne.

Definizione di Resilienza

La resilienza è in altri termini la capacità di autoripararsi dopo un danno, di far fronte, resistere, ma anche costruire e riuscire a riorganizzare positivamente la propria vita nonostante situazioni difficili che fanno pensare a un esito negativo. 

Essere resilienti non significa infatti solo saper opporsi alle pressioni dell’ambiente, ma implica una dinamica positiva, una capacità di andare avanti, nonostante le crisi, e permette la costruzione, anzi la ricostruzione, di un percorso di vita. Si tratta di un dono inestimabile, che permette di superare le difficoltà, ma che non rende invincibili, e non è neppure presente sempre e comunque: possono infatti verificarsi momenti in cui le situazioni sono troppo pesanti da sopportare, generando un’instabilità più o meno duratura e pervasiva. Non esistono i Superman, e non si è dei supereroi per il solo fatto di essere stati resilienti in passato, anche se è indubbio che la forza delle battaglie superate predispone l’individuo a lottare con maggior consapevolezza (dei rischi assunti e della probabilità di riuscita).

Gli individui resilienti hanno, insomma, trovato in se stessi, nelle relazioni umane, e nei contesti di vita, quegli elementi di forza per superare le avversità, definiti fattori di protezione contrapposti ai fattori di rischio, che invece diminuiscono la capacità di sopportare il dolore.

 

Fattori di rischio per la Resilienza

Tra i fattori di rischio che espongono a una maggiore vulnerabilità agli eventi stressanti, diminuendo la resilienza, secondo Werner e Smith (1982) troviamo i fattori emozionali (abuso, bassa autostima, scarso controllo emozionale), interpersonali (rifiuto dei pari, isolamento, chiusura), familiari (bassa classe sociale, conflitti, scarso legame con i genitori, disturbi nella comunicazione), di sviluppo (ritardo mentale, disabilità nella lettura, deficit attentivi, incompetenza sociale).

 

Fattori protettivi per la Resilienza

Tra i fattori protettivi, invece, gli autori ne individuano di individuali e familiari. Tra i primi, l’essere primogenito, un buon temperamento, la sensibilità, l’autonomia, unita alla competenza sociale e comunicativa, l’autocontrollo, e la consapevolezza e fiducia che le proprie conquiste dipendono dai propri sforzi (locus of control interno). A questi si aggiunge una risorsa di estrema importanza: il comportamenti seduttivo, che consente di essere benvoluti e di riconoscere e accettare gli aiuti che vengono offerti dall’esterno.

I fattori protettivi familiari comprendono l’elevata attenzione riservata al bambino nel primo anno di vita, la qualità delle relazioni tra genitori, il sostegno alla madre nell’accudimento del piccolo, la coerenza nelle regole, il supporto di parenti e vicini di casa, o comunque di figure di riferimento affettivo.

Esplorando i fattori protettivi, è possibile individuare cinque componenti che contribuiscono a sviluppare la resilienza (Cantoni, 2014).

 

I 5 componenti che sviluppano la Resilienza

1. L’Ottimismo. La disposizione a cogliere il lato buono delle cose, è un’importantissima caratteristica umana che promuove il benessere individuale e preserva dal disagio e dalla sofferenza fisica e psicologica. Chi è ottimista tende a sminuire le difficoltà della vita e a mantenere più lucidità per trovare soluzioni ai problemi (Seligman, 1996).

2. L’autostima si accoppia all’ottimismo. Avere una bassa considerazione di sé ed essere molto autocritici, infatti, conduce a una minore tolleranza delle critiche altrui, cui si associa una quota maggiore di dolore e amarezza, aumentando la possibilità di sviluppare sintomi depressivi.

3. La Robustezza psicologica (Hardiness). Essa è a sua volta scomponibile in tre sotto-componenti, il controllo (la convinzione di essere in grado di controllare l’ambiente circostante, mobilitando quelle risorse utili per affrontare le situazioni), l’impegno (con la chiara definizione di obiettivi significativi che facilita una visione positiva di ciò che si affronta) e la sfida, che include la visione dei cambiamenti come incentivi e opportunità di crescita piuttosto che come minaccia alle proprie sicurezze.

4. Le emozioni positive, ovvero il focalizzarsi su quello che si possiede invece che su ciò che ci manca.

5. Il supporto sociale, definito come l’informazione, proveniente da altri, di essere oggetto di amore e di cure, di essere stimati e apprezzati. E’ importante sottolineare come la presenza di persone disponibili all’ascolto sia efficace poichè mobilita il racconto delle proprie sventure. Raccontare è liberarsi dal peso della sofferenza, e l’accoglienza gentile e senza rifiuti o condanne da parte degli altri segnerà il passaggio da un racconto tutto interiore, penoso e solitario (che può sfociare in forme di comunicazione delirante) alla condivisione partecipata dell’accaduto.

In definitiva, ciò che determina la qualità della resilienza è la qualità delle risorse personali e dei legami che si sono potuti creare prima e dopo l’evento traumatico. Parlare in termini di resilienza vuol dire modificare lo sguardo con cui si leggono i fenomeni e superare un processo di analisi lineare, di causa ed effetto, per cui non è più corretto ragionare dicendo per esempio: “E’ stato gravemente ferito, quindi è spacciato per tutta la vita!”

 

Il profilo della Resilienza

Se volessimo tracciare un profilo della persona resiliente, questa dovrebbe possedere le seguenti caratteristiche:

– Sopporta i dolori senza lamentarsi e regge le difficoltà senza disperarsi;

– Ha il coraggio di intraprendere con consapevolezza una via che sa essere tortuosa o, comunque, non la più semplice;

– Ama la vita per quello che è nel presente, e coltiva una propria spiritualità e virtù che moderano i timori di morte;

 Ricorda di essere esposta al pericolo in quanto mortale, e nel contempo affronta ciò che lo ostacola per cercare di superarlo con saggia audacia.

 

Fonte State of mind https://www.stateofmind.it/category/articoli/

23Dicembre 2018

BUON NATALE E FELICE ANNO NUOVO

 

6Novembre 2018

LA SPERIMENTAZIONE DELLA METODOLOGIA DEL PEER SUPPORTER PER LA PROMOZIONE DELLA SALUTE IN CARCERE

Sinergie ha avviato un percorso formativo, in collaborazione con gli operatori sanitari e  l’Amministrazione Penitenziara del carcere di Piacenza, per sperimentare la metodologia del peer support per la promozione del benessere e la riduzione del rischio suicidario.

Realizzare cambiamenti di comportamento e di atteggiamenti che incidono sul livello di salute e sul benessere personale è notoriamente un obiettivo impegnativo, critico da perseguire. Quando questo obiettivo si deve raggiungere nel setting detentivo, allora si aggiunge difficoltà a difficoltà. Per questo l’attenzione della ricerca e delle prassi psicosociali ed educative è stata posta sulla sperimentazione di nuove metodologie capaci di innescare processi motivazionali, tra queste il lavoro con il peer supporter è tra le più accreditate.

Possiamo definire la metodologia peer support come un processo collettivo caratterizzato da pratiche di aiuto e sostegno e da una comunicazione orizzontale di messaggi, esperienze, conoscenze che agisce nella dimensione della quotidianità. La dimensione di comunicazione orizzontale e di scambio di saperi tra pari pone il peer support certamente vicino alle metodologie del mutuo-autoaiuto, ma se ne discosta per quanto concerne il carattere terapeutico: il peer support ruota attorno alla vita quotidiana.

Esperienze di lavoro con la metodologia peer nelle carceri italiane non sono molte, ma da quelle più strutturate sono state evidenziate le indubbie opportunità in un’ottica di empowerment dei soggetti coinvolti, ma anche un’occasione per gli operatori di rivedere le pratiche di relazione d’aiuto in un’ottica che non passivizzi, ma che al contrario valorizzi le competenze e le risorse delle persone.

6Novembre 2018

IL PERCORSO DI ONBOARDING DEI PROFESSIONISTI SANITARI IN CARCERE

 

Come facilitare il processo di socializzazione organizzativa                                                                                del personale sanitario neo inserito nelle carceri dell’Emilia Romagna

 

Nelle scorse settimane è terminato il percorso formativo che abbiamo svolto con i professionisti sanitari che operano nelle carceri dell’Emilia Romagna. L’obiettivo è stato quello di creare un percorso di onboarding condiviso che facilitasse l’inserimento al lavoro dei professionisti sanitari in un contesto complesso come quello del carcere.

L’inserimento in nuovo ambito lavorativo è un’esperienza che può creare difficoltà al professionista neoinserito che si trova a dover fronteggiare richieste che solo in parte può padroneggiare e gestire e che vanno al di là della sola esecuzione del compito tecnico professionale. Si tratta di gestire un processo di cambiamento e di apprendimento attraverso il quale, oltre a cogliere gli aspetti specifici della professionalità e della competenza richiesta dal contesto, il professionista deve perfezionare la sua rappresentazione dell’organizzazione, deve analizzare e confrontarsi con le regole e le norme in uso e deve inoltre rielaborare la rappresentazione e l’immagine che ha di sé integrandola con i nuovi elementi prodotti dalla nuova situazione. Risulta evidente come questo processo sia complesso e oneroso, in particolare nel contesto penitenziario, con le sue specificità, prassi e procedure; setting normalmente poco conosciuto ed estraneo ai normali percorsi formativi, la cui conoscenza è spesso veicolata dalle informazioni sensazionalistiche dei media.

Per rispondere a tale esigenza e favorire un orientamento professionale competente alla cura in carcere, la Regione Emilia Romagna ha promosso un percorso formativo centrato sull’approfondimento delle conoscenze e competenze necessarie alla realizzazione di un importante obiettivo organizzativo: la socializzazione organizzativa del personale neo inserito in carcere, un percorso strutturato di supporto all’ingresso lavorativo nel setting sanitario del carcere, comune a tutte le realtà carcerarie della Regione. Infatti la socializzazione organizzativa, intesa quale “insieme dei processi psicologici e sociali attraverso i quali l’individuo può sviluppare le abilità per agire adeguatamente in un nuovo contesto organizzativo e contestualmente può sviluppare le abilità necessarie per collocarsi nel nuovo ambiente lavorativo”, se gestita con un percorso progettato e formalizzato può rappresentare un vero e proprio fattore di qualità della cura e del prendersi cura dei professionisti che si apprestano ad operare in un  setting complesso.

Il programma formativo è stato strutturato in step (rivolti sia ai diversi ruoli manageriali, che ai molti operatori individuati in qualità di tutor) riuscendo a conseguire i seguenti obiettivi:

  • Facilitare l’integrazione dei nuovi assunti nella struttura aziendale
  • Promuovere il senso di appartenenza
  • Uniformare il livello di conoscenza dei linguaggi e della filosofia del servizio salute in carcere
  • Favorire il processo di apprendimento e condivisione delle pratiche professionali
  • Contribuire a raccogliere, sistematizzare e gestire la conoscenza del sistema tutela salute nelle carceri
  • Abbattere i costi ed i tempi della formazione all’inserimento

ed a strutturare un percorso di onboarding che potesse coniugare i bisogni del neofita e quelli dell’organizzazione attraverso ruoli dedicati, colloqui orientativi e di accoglienza, strumenti di supporto per il professionista e la definizione di un piano di apprendimento e di sviluppo delle competenze.

I Responsabili di Programma, si sono confrontati sulle principali procedure cliniche e organizzative, in modo da garantire al personale neo inserito un orientamento coerente ai comportamenti attesi, standardizzare i comportamenti corretti e ridurre il disorientamento dovuto ai modelli comportamentali differenti presenti nelle diverse realtà. Il confronto ha portato a definire un set di procedure minime indispensabili alla governance clinica e organizzativa nelle diverse sedi.

I Referenti Medici ed i Coordinatori infermieristici hanno invece approfondito l’importanza di un percorso pianificato ed organizzato di socializzazione organizzativa, i processi chiave del percorso di onboarding ed induction e la definizione del piano di apprendimento rispettivamente di medici e infermieri.

Inoltre, dopo aver condiviso con il management i criteri per la nomina dei tutor, si è proceduto alla formazione dei tutor medici e infermieristici con particolare riferimento all’orientamento al ruolo chiave del tutor, alla consapevolezza sui processi di apprendimento dell’adulto

Si sono messi a punto strumenti metodologici di supporto sia per il tutor: il vademecum della socializzazione organizzativa, che per il neoinserito, al quale viene consegnato un welcome kit

Un insieme di informazioni, strumenti operativi e percorsi di supporto che hanno come finalità quella di facilitare il percorso di ingresso del personale neoinserito curando lo sviluppo di orientamenti culturali corretti e delle competenze specifiche del setting.

Operare in carcere richiede al neo inserito, oltre ai normali compiti professionali, anche la consapevolezza circa le proprie rappresentazioni del detenuto, del reato, della pena e del significato della cura e rielaborazione dell’impatto emotivo di operare in un’istituzione con peculiarità ambientali, organizzative e normative completamente differenti dai setting sanitari sperimentati fino ad ora.

Il percorso di inserimento con i suoi ruoli ed i suoi strumenti specifici rappresenta una sorta di guida metodologica e operativa a supporto dei professionisti sanitari che si approcciano al lavoro all’interno delle carceri dell’Emilia-Romagna.

 

 

26Marzo 2018

IL PERCORSO DI ONBOARDING DEL PERSONALE SANITARIO CHE OPERA NELLE CARCERI DELL’EMILIA ROMAGNA

Il servizio per la salute nelle carceri è molto di più del suo personale, ma non potrà mai essere meglio del suo personale, per questo è importante porre particolare attenzione alla cura delle culture professionali e alle competenze delle risorse umane. In particolare per quanto riguarda gli operatori di nuova acquisizione è fondamentale avvalersi di un percorso strutturato di supporto all’ingresso lavorativo nel setting sanitario del carcere.

La socializzazione organizzativa, intesa quale “insieme dei processi psicologici e sociali attraverso i quali l’individuo può sviluppare le abilità per agire adeguatamente in un nuovo contesto organizzativo e contestualmente può sviluppare le abilità necessarie per collocarsi nel nuovo ambiente lavorativo”, se gestita con un percorso progettato e formalizzato può rappresentare un vero e proprio fattore di qualità della cura e del prendersi cura dei professionisti che si apprestano ad operare in un  setting complesso.

Numerose ricerche attestano infatti che l’avvalersi di percorsi pianificati dall’organizzazione, superando pratiche informali e destrutturate nell’inserimento di nuovo personale, ha ricadute significative sulla riduzione dello stress degli operatori e sullo sviluppo di adeguati registri culturali ed operativi, finanche alla riduzione del turnover.

Operare in carcere richiede al neo inserito, oltre ai normali compiti di socializzazione organizzativa, anche la consapevolezza circa le proprie rappresentazioni del detenuto, del reato, della pena e del significato della cura e rielaborazione dell’impatto emotivo di  operare in un’istituzione con peculiarità ambientali, organizzative e normative completamente differenti dai setting sanitari sperimentati fino ad ora.

Sinergie, grazie anche al contributo di tutti i professionisti coinvolti, ha realizzato un vero e proprio percorso di accompagnamneto nel mondo del lavoro in carcere, definendo fasi, azioni, strumenti ed attori necessari al buon esito del processo di onboarding: dalla formazione dei tutor, alla realizzazione di un “Wellcome Kit” ricco di informazioni e strumenti a supporto del neoinserito. Una vera e propria guida metodologica e operativa finalizzata a facilitare l’inserimento dei professionisti sanitari nelle case della salute nelle carceri dell’Emilia Romagna.

 

26Marzo 2018

Partito il corso di formazione sul PRIMARY NURSING

 

E’ iniziato presso l’Ospedale di Piario (ASST BG EST) il corso di formazione sul PRIMARY NURSING rivolto agli operatori dell’U.O. di Medicina.

Sinergie è lieta di poter mettere a disposizione le proprie competenze a sostegno di questa esperienza stimolante ed innovativa

 

3Novembre 2017

IL NUOVO SITO DI SINERGIE E’ ONLINE

Abbiamo il piacere di annunciarvi il debutto online del nostro nuovo sito, che come potete notare (andando sul sito www.sinergiesnc.com)  si presenta con una grafica rinnovata e contenuti aggiornati.

Obiettivo principale del rinnovamento è stato quello di fornire un servizio informativo completo, chiaro e facilmente fruibile, pensato per garantire una navigazione efficace e veloce.

Il restyling che abbiamo voluto per il nostro sito non tocca solo la veste grafica, ma anche la sua struttura, che si amplia di nuove categorie. Accessibile da qualsiasi piattaforma tecnologica, dal pc allo smartphone al tablet, il sito diventa un contenitore di informazioni e di servizi rivolti a tutti coloro che sono interessati a conoscere le competenze e le proposte di Sinergie.

Acanto alle pagine tradizionali, in cui presentiamo i nostri valori ed i servizi che siamo in grado di offrire, abbiamo inserito alcune novità; tra queste, vi presentiamo la sezione “Sinergie Accademy”, uno strumento importante per essere sempre informati delle nostre attività formative ed iscriversi in pochi semplici passaggi.

Nella sezione “Cosa Facciamo” potrete trovare alcuni nostri percorsi formativi e consulenziali realizzati negli ultimi anni, suddivisi nei nostri quattro settori di intervento: Sanità, Pubblica Amministrazione, Aziende e No Profit; potrete essere messi in contatto con le organizzazioni che hanno realizzato questi progetti per una verifica diretta delle ricadute organizzative e della gradibilità.

Inoltre, rispetto al passato, abbiamo aggiunto una sezione dedicata alle news: “Blog”, con la quale provvederemo ad aggiornarvi sulle novità offerte dal mondo della formazione, della consulenza per le risorse umane e non solo! (a questo proposito vi invitiamo ad iscrivervi alla nostra newsletter). Attraverso questo straordinario strumento di informazione, condivideremo con voi curiosità, articoli, pensieri e riflessioni, anche il vostro contributo attivo può arricchire il blog: inviateci segnalazioni, esperienze ed interventi…..rendiamo proficuo questo scambio per creare insieme una comunità di esperienze e di pratiche.

Tutte le informazioni presenti nel blog saranno visibili anche attraverso la pagina Facebook di Sinergie…..visitateci e…..mettete un like!

3Novembre 2017

Verso un paziente 3.0: il patient engagement come chiave per un reale protagonismo della persona in sanità

In una prospettiva di integrazione del sistema di cura tra servizi ospedalieri e territoriali e di una migliore sinergia tra gli attori in gioco, il concetto di coinvolgimento attivo (engagement) della persona con malattia cronica nella gestione del suo percorso sanitario appare essenziale e propone un “cambio di paradigma” in sanità. Protagonismo della persona che anche il Piano nazionale della cronicità indica come via maestra per l’innovazione sanitaria.

Ma quale valore clinico e pratico del patient engagement? Secondo un recente studio condotto dal neonato centro di ricerca EngageMinds Hub dell’Università Cattolica su un campione di 1.389 pazienti cronici italiani, i pazienti poco coinvolti nel processo di cura rischiano 10 volte di più di incorrere in ricadute e/o aggravamenti rispetto a pazienti con alto Engagement. Inoltre, i pazienti con bassi livelli di engagement riportano in 9 casi su 10 sintomi ansioso-depressivi.

Ma a risentire dell’effetto negativo della mancanza di engagement è anche il portafoglio dei pazienti: la spesa sanitaria mensile out-of-pocket – cioè direttamente dalle tasche dei pazienti – raddoppia quando la persona non si sente coinvolta e protagonista del proprio percorso socio-sanitario.

Nonostante le promettenti evidenze scientifiche sul valore dell’engagement per il benessere della persona e l’efficienza del sistema, più della metà dei pazienti cronici italiani dichiara di non sentirsi adeguatamente sostenuto e legittimato a giocare un ruolo pro-attivo nel proprio percorso socio-sanitario.

Un principio facile a dirsi ma complesso nella sua realizzazione anche perché ad oggi mancano linee guida condivise circa le metodologie e strumenti per la promozione dell’engagement del paziente cronico

L’Università Cattolica in collaborazione con la Direzione generale Welfare di Regione Lombardia e sotto la supervisione metodologica dell’Istituto superiore di sanità ha promosso per la prima volta a livello internazionale una conferenza di consenso per il patient engagement, tenutasi a Milano il 12-13 giugno.

Come fare dunque per promuovere il Patient Engagement?.

In sintesi, ecco le raccomandazioni emerse dal progetto (si rimanda al documento esteso di Consenso per precisazioni e approfondimenti):

1.L’engagement è un concetto ombrello, sovraordinato e inclusivo rispetto ad altri termini d’uso nel linguaggio sanitario, come patient empowerment, patient activation, health literacy, shared decision making o aderenza del paziente.

2.L’engagement non è solo un “fatto” della persona con patologia cronica: esso implica una visione sistemica e multi-stakeholders/multi-attore del percorso sanitario della persona con patologia cronica;

3.L’engagement è un processo complesso e soggettivo – che non può ridursi ad uno stato on-off.

4.La valutazione dell’engagement costituisce la conditio sine qua non per la sua promozione

5.Per promuovere l’engagement della persona con malattia cronica e della sua famiglia è innanzitutto necessario sensibilizzare e formare i professionisti sanitari e il team di cura a partire dai curricula universitari.

6.La famiglia e la rete informale della persona con patologia cronica costituiscono l’ossatura del sistema di promozione dell’engagement

7.Le associazioni di persone con patologie croniche, famigliari e volontari giocano un ruolo cruciale nella promozione dell’engagement

8.La realizzazione dell’engagement in sanità è funzione di una sensibilizzazione sociale sul suo valore

9.Le nuove tecnologie costituiscono un fattore abilitante fondamentale dell’engagement della persona con malattia cronica ma non sostituiscono la relazione terapeutico-assistenziale

10.È necessaria una certificazione e regolamentazione delle tecnologie per la promozione dell’engagement

Articolo tratto da Il Sole 24 ore Sanità.

http://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/lavoro-e-professione/2017-06-16/verso-paziente-30-patient-engagement-come-chiave-un-reale-protagonismo-persona-sanita–161538.php?uuid=AE7RGwfB

3Novembre 2017

COSTRUIRE UNA SQUADRA EFFICIENTE PER RAGGIUNGERE IL SUCCESSO

L’APPRENDIMENTO ATTIVO MIGLIORA LA COLLABORAZIONE DI GRUPPO E RENDE EFFICIENTE IL LAVORO DI SQUADRA. UNA REVIEW CANADESE SULLE RICERCHE EFFETTUATE NEL CAMPO.

 

Se si è impegnati in ambito sanitario, ingegneristico o come calciatore professionista, lavorare senza problemi insieme ai colleghi è fondamentale per raggiungere il successo.

Il lavoro di squadra è così importante per le organizzazioni che è nato un intero settore di formazione in tale campo, il quale si occupa di insegnare ai dipendenti come essere dei membri migliori.

Ma gli interventi di team-building funzionano veramente?

Per scoprirlo, un gruppo di ricercatori canadesi ha condotto, di recente, una revisione importante della ricerca sugli interventi volti alla formazione al lavoro di squadra.

I loro risultati suggeriscono che essa, nel complesso, sembra aiutare davvero i gruppi di tutti i tipi ad aumentare le loro prestazioni.

Mettere insieme un gruppo di individui altamente qualificati non è sufficiente a far in modo che le squadre siano efficienti”, hanno scritto i ricercatori. “Piuttosto, i membri del gruppo devono essere in grado di lavorare bene insieme, affinchè la loro squadra raggiunga con successo i propri scopi”.

LO STUDIO

La metanalisi, guidata dallo psicologo Dott. Desmond McEwan, della University of British Columbia, Vancouver, ha incluso 39 interventi estrapolati da 33 studi, per un totale di oltre 8.000 partecipanti.

Poiché ci sono molti approcci diversi nell’intervento sul lavoro di squadra, dall’introdurre dei motivatori, ai workshop di più giorni, i ricercatori hanno iniziato la loro revisione, classificando gli interventi in una delle quattro categorie generali:

  • Lezioni frontali, in cui un gruppo ascolta un oratore che espone degli argomenti sul lavoro di squadra;
  • Workshop pratici, che potrebbero includere discussioni interattive sui propositi e gli obiettivi del gruppo;
  • Allenamento alla simulazione, dove le squadre esercitano le diverse competenze che utilizzano nella vita reale (ad esempio, un simulatore di volo aereo, o un manichino per un’emergenza medica);
  • Recensioni sul posto, in cui i membri del team forniscono un feedback sul lavoro degli altri in tempo reale.

I ricercatori hanno analizzato, inoltre, diversi altri fattori che potrebbero influenzare l’efficacia di un corso di formazione, tra i quali per quanto tempo la squadra ha lavorato insieme, come è stato misurato il miglioramento della produttività e se lo studio ha avuto luogo in laboratorio o nel mondo reale.

Infine, il Dott. McEwan e colleghi hanno incluso solo quegli studi che hanno effettuato un confronto con un gruppo di controllo (ad esempio, i dipendenti che non hanno ricevuto una formazione per il lavoro di squadra).

I RISULTATI

Gli interventi analizzati hanno avuto, su tutta la linea, un notevole impatto positivo sulla prestazione di squadra e sulla sua capacità di reggiungere il successo.

“Gli interventi sul gruppo di lavoro hanno dimostrato di essere efficaci nel migliorare sia il lavoro di squadra, che le prestazioni del gruppo, attraverso una varietà di contesti, sia quelli di laboratorio, che della vita reale, come sanità, aviazione, servizio militare e mondo accademico”, hanno scritto i ricercatori.

È interessante notare come tali tecniche sembrassero funzionare meglio per le nuove squadre, rispetto a quelle già consolidate.

“E’ possibile che i processi del lavoro di squadra potrebbero essere più malleabili e mostrare un maggiore margine di miglioramento nelle nuove squadre, rispetto a quelle più consolidate, le cui dinamiche potrebbero essere, invece, più radicate”, hanno spiegato i ricercatori.

L’analisi ha anche mostrato che “tutti e quattro i metodi di allenamento sono stati efficaci nel migliorare le prestazioni di gruppo”, ma alcuni erano di gran lunga più efficaci di altri. In particolare, l’istruzione stile aula è risultata molto meno efficace, rispetto agli altri tre tipi di interventi, che includevano componenti interattive.

“Questo suggerisce che fornendo semplicemente delle lezioni educative, in cui i membri del gruppo imparano passivamente a conoscere il lavoro di squadra, non è un modo efficace per migliorarlo”, hanno scritto il Dott. McEwan e colleghi.

Quindi, che si tratti di formare team di medici, piloti, giocatori, o astronauti, i ricercatori hanno trovato che uno dei modi migliori per migliorare il lavoro di squadra è stato quello di integrare il coinvolgimento attivo nelle attività di team-building.

Per le organizzazioni, questo significa che gli interventi che utilizzano l’interattività e l’apprendimento attivo hanno la probabilità di essere più efficaci delle lezioni frontali, o di altre forme di istruzione passiva.

(Traduzione ed adattamento a cura della Dottoressa Alice Fusella)

Fonte: Psychological Science. Articolo postato in LA PSICOLOGIA DEL LAVORO

https://www.psiconline.it/articoli/la-psicologia-del-lavoro/costruire-una-squadra-efficiente-per-raggiungere-il-successo.html

 

3Novembre 2017

LO STUDIO: il 65% delle start up fallisce per tensioni interpersonali

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In uno studio di Noam Wasserman, dell’Harvard Business School, intitolato “The Founder’s Dilemmas” (The Founder’s Dilemmas: Anticipating and Avoiding the Pitfalls That Can Sink a Startup – Princeton University Press),  basato su una ricerca durata dieci anni che raccoglie dati di 10.000 fondatori di aziende e 4.000 star up, emerge che il 65% delle start up ad alto potenziale fallisce per tensioni interpersonali all’interno del team.

Tali tensioni sono classificabili in tre macro categorie:

  1. Problemi relazionali
  2. Problemi per l’assegnazione dei ruoli e del processo decisionale
  3. Problemi di ricompensa
3Novembre 2017

I REFERENTI DELLA FORMAZIONE: FACCIAMO IL PUNTO SULLO STATO DELL’ARTE

I referenti della formazione hanno rappresentato in questi anni, in molte aziende sanitarie, la risposta organizzativa e metodologica alla necessità di promuovere un approccio competente alla rilevazione del fabbisogno formativo ed alla progettazione e erogazione della formazione intesa come funzione strategica nel sostenere ed indirizzare il cambiamento organizzativo e la qualità della cura e dell’assistenza.

Nelle diverse aziende i referenti della formazione hanno operato secondo diversi modelli organizzativi ed in presenza di differenti investimenti nello sviluppo di competenze di ruolo, ma con una opinione sufficientemente condivisa che potessero rappresentare lo spostamento del baricentro del governo della formazione verso le UU.OO. contribuendo a rendere i professionisti responsabili del proprio aggiornamento. La maggiore vicinanza ai luoghi di produzione ed erogazione del servizio dei referenti poteva rappresentare una garanzia di una più puntuale lettura del fabbisogno di competenze e di equità e completezza nella progettazione dei piani di formazione aziendali che potevano così integrare l’approccio top-down con quello bottom-up.

Inoltre la creazione della rete dei referenti della formazione ha rappresentato in molte aziende un’occasione per consolidare il ruolo della formazione aziendale, passando da Uffici Formazione, a prevalente gestione amministrativa dell’obbligo formativo, ad un vero e proprio sistema aziendale di sviluppo delle risorse umane dotato di ruoli, metodi e strumenti dedicati.

Abbiamo in questi anni accompagnato alcune organizzazioni in questi percorsi e stiamo assistendo all’evoluzione dei sistemi formativi aziendali e dei modelli organizzativi che li definiscono e per questo ci piacerebbe aprire un confronto diretto con tutti gli attori che all’interno delle diverse organizzazioni sanitarie hanno animato queste esperienze, per conoscere il loro punto di vista, i problemi incontrati e le loro opinioni sugli scenari futuri.

Inviaci le tue opinioni, commenti ed esperienze

3Novembre 2017

Ipasvi tiene a battesimo la «Consulta permanente delle associazioni dei pazienti e cittadini»

Pazienti e cittadini si alleano con gli oltre 447mila infermieri che operano in Italia e danno vita alla “Consulta permanente delle associazioni dei pazienti e cittadini” che si è insediata oggi a Roma presso la Federazione nazionale Ipasvi, a cui hanno aderito – per il momento: le iscrizioni sono aperte – oltre 30 associazioni di malati.
«Il rapporto coi pazienti è per noi un elemento valoriale importante della professione – ha detto la presidente della Federazione nazionale Ipasvi, Barbara Mangiacavalli – e del suo ‘patto col cittadino’ che da anni la caratterizza. Nel nostro Codice deontologico l’elemento portante è il ruolo della professione legato all’ideale di servizio che è quello di assistere la persona. Per noi è essenziale – ha proseguito rivolgendosi ai rappresentanti delle associazioni di malati e cittadini – avere una relazione privilegiata con voi, per comprendere come ci vedete (e in questo senso abbiamo attivato anche un Osservatorio civico con Cittadinanzattiva) e come possiamo soddisfare nel modo migliore i vostri bisogni di salute. Il Servizio sanitario è ancora troppo centrato sull’acuzie, ma i bisogni di salute stanno rapidamente cambiando e già si sono modificati. Sono aumentati gli anni di vita, ma non in buona salute purtroppo e lavorare sulle competenze e sulle capacità degli infermieri rappresenta un modo proattivo di vedere la professione secondo l’alleanza che oggi abbiamo stretto con voi per conoscere e soddisfare i vostri bisogni».
«La Consulta è un momento importante perché i cittadini capiscono e vivono le esigenze di tutti – ha affermato Tonino Aceti, coordinatore nazionale di Cittadinanzattiva – e le comunicano agli infermieri come protagonisti di un cambiamento positivo e virtuoso della professione. Le altre professionalità del mondo sanitario non l’hanno ancora fatto: la Federazione Ipasvi è stata la prima e mi auguro, grazie a lei e al suo esempio, che ora seguano ulteriori esperienze positive di questo tipo».
La Consulta nata oggi è un luogo di confronto e comunicazione permanente tra infermieri, associazioni dei pazienti e cittadini e sarà convocata e sentita preventivamente dalla Federazione degli infermieri sulle tematiche professionali con una funzione propositiva per le azioni future della categoria.
Inoltre, sono previsti anche gruppi di lavoro temporanei o permanenti per approfondire analisi e/o proposte relative ai temi in discussione che riguardano la “vera” assistenza.
Secondo i rappresentanti dell’Associazione italiana scompensati cardiaci, Aisc, «al di là delle alleanze, anche importanti ha detto il presidente Oberdan Vitali – puntiamo alla prevenzione, formazione e informazione: la categoria infermieristica è essenziale in questo senso per noi. Avere a fianco gli infermieri è importante, perché sono le figure più vicine al malato, quelli che di più lo possono guidare anche nella formazione e nell’informazione, essenziali per prevenire aggravamenti della patologia».
Secondo Antonio Papaleo della Fand, la Federazione nazionale delle associazioni dei diabetici, «il ruolo dell’infermiere nei team di diabetologia è fondamentale: spesso il rapporto medico-paziente è scarso e deteriorato dall’impossibilità di ascolto delle esigenze dei malati, quello con l’infermiere no. Per evitare le complicanze del diabete che sono molte e spesso anche gravissime, è fondamentale l’educazione terapeutica e in questo l’infermiere è il supporto essenziale del malato tra quelli che lo assistono».
«Per quanto ci riguarda – ha detto Giulia Azzini dell’Aisla, l’Associazione sclerosi laterale amniotrofica – abbiamo assolutamente bisogno degli infermieri sul territorio a domicilio, tanto che ormai da anni promuoviamo borse di studio per loro, proprio perché possano approfondire le esigenze dei pazienti con Sla».
L’importanza degli infermieri è fondamentale, secondo Giuseppina Giupponi della Lega italiana per la lotta contro l’ Aids, Lila, specie a livello di informazione e istruzione: «Nei campi scuola per i nostri ragazzi abbiamo voluto fosse presente la figura dell’infermiere per poterli educare su argomenti in cui i normali insegnanti possono fare ben poco. E vorremmo che questo principio entrasse in funzione in tutta la scuola: sono loro a dover istruire sulla salute».

 

http://Articolo tratto da il Sole 24 Ore Sanità. http://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/aziende-e-regioni/2017-06-23/ipasvi-tiene-battesimo-consulta-permanente-associazioni-pazienti-e-cittadini-162859.php?uuid=AEKQD9kB

10Maggio 2017

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